Il Progetto Archivi del 1996 dell'Università degli Studi di Padova

 

 

Per i tipi della CLEUP, è uscito il volume Il Progetto Archivi del 1996 dell'Università degli Studi di Padova.

Ha senso pubblicare un progetto un quarto di secolo dopo? Ovviamente sì, visto che i contenuti di quel lavoro continuano tuttora con nuove energie professionali e uno straordinario capitale umano rappresentato da dipendenti di Università, di Enti pubblici di ricerca di altre amministrazioni pubbliche e liberi professionisti, ma anche come retrospettiva di molte tra le più importanti iniziative sugli archivi universitari: tra le quali, Thesis 99, Studium 2000, Cartesio, le Conferenze organizzative, I calzini del Principe Carlo, Aurora, UniDOC e, ovviamente, Procedamus.

Il libro contiene la presentazione del prof. Gilberto Muraro, all'epoca Magnifico Rettore ed è dedicato ad Alberto Mirandola, il presidente della Commissione Archivi di allora. 

Il volume è disponibile gratuitamente in versione on-line, mentre è possibile ordinarlo a stampa sul sito della CLEUP.

Buona lettura.

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I materiali di Sh@rePro 2019

  • Rilevazione automatizzata presenze studenti - Università degli studi di Parma

  • Decreti digitali del Rettore e del Direttore Generale: il percorso di UniFe - Università degli studi di Ferrara

  • UniSa Web Missioni: Gestione on-line delle missioni. Dalla richiesta, all’autorizzazione, alla liquidazione di rimborsi - Università degli studi di Salerno

  • La firma grafometrica per la dematerializzazione dei documenti - Università degli studi di Verona

  • Gestione delle sedute degli organi collegiali: Concilium - Università degli studi di Milano Bicocca, Università degli studi di Verona

  • Reingegnerizzazione e digitalizzazione del processo sui contratti e affidamenti di docenza - Università degli studi di Parma

  • UniContr: Dematerializzazione dei Contratti di docenza nei CdL - Università degli studi di Urbino

  • La dematerializzazione come sfida tecnologica, informativa e normativa: contratti per incarichi di insegnamento - Università degli studi di Torino



 

 

I materiali di Sh@rePro 2020

  • Gestione dell’ E-procurement e del flusso acquisti
    • E-procurement: Le esperienze degli Atenei: Università degli studi di Siena e Parma
    • E-procurement: Le tre sfide delle Università degli studi di Padova e Parma

1a parte - Presentazione 
2a parte - UniPR 
3a parte - UniPD 

 

  • Smart Working: esempi concreti e approfondimenti sulla sicurezza e la corretta gestione dei documenti
  • Introduzione alla normativa sullo smart working
  • Smartworking ed homeworking: la gestione del lavoro agile nell'emergenza Covid-19 -  INAF
  • Cybersecurity e smartworking ai tempi dell'emergenza Covid-19 – Università degli studi di Milano
  • Misure operative e digitalizzazione dei processi a supporto dello smart working – Università degli studi di Urbino
  • Sportello Unico per gli Studenti: soluzioni per il supporto in smartworking – Università degli studi di Firenze

       - Interventi di Giovanni Bianco, Phillis Novara, Laura Flora, Nicla Diomede, Marco Cappellacci e Valdo Pasqui  

 

  • Adeguamento di sistemi e organizzazione al GDPR
  • Privacy: misure minime AgID e strumenti per il GDPR. L’esperienza dell’Università degli Studi di Torino – Università degli studi di Torino
  • Caso di studio: la privacy nelle sedute di laurea in emergenza sanitaria. L’esperienza dell’Università degli Studi del Sannio – Università degli studi del Sannio
  • Privacy: l’altra faccia della medaglia. Il processo di adozione dell’ISO 27001 all’Università di Verona – Università degli studi di Verona

      - Slides delle Università di Torino, Verona e Sannio  

 

 

puntodelibere - Istruzioni

ISTRUZIONI

La trasmissione di un quesito per puntodelibere avviene esclusivamente tramite form web.

È necessario indicare la categoria per il quesito posto, afferente alle 5 fasi della collegialità amministrativa (1. Convocazione, 2. Adunanza, 3. Discussione, 4 Votazione e 5. Verbalizzazione), più quella inerente alla proposta di deliberazione e di inserire qualche dato personale.

I dati richiesti servono per tenere memoria dei quesiti o per contattare per chiarimenti specifici l'autore, ma non saranno divulgati sul sito. Compariranno, invece, il quesito e la risposta. In caso di quesito particolarmente complesso o lungo, la redazione si riserva di scomporlo in uno o più quesiti o di proporne una sintesi. 

Se la domanda richiedesse una risposta estesa o maggiormente articolata, è previsto un commento specifico in una pagina dedicata agli approfondimenti, ma anche alla diffusione di materiali di interesse (report, relazioni, provvedimenti, formulari, modulistica, etc.).

Semplice, vero?

La rubrica è settimanale: ogni venerdì dal 26 gennaio al 31 dicembre 2018. Chiunque può formulare quesiti, anche se esterno al mondo universitario e della ricerca, meglio se iscritto a una delle tre famiglie professionali promotrici di puntodelibere: Coordinamento RAU, MDQNext e Procedamus.

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Comunicato congiunto su puntodelibere

Articolo di Forum PA su puntodelibere 

puntodelibere - Quesiti e risposte

QUESITI E RISPOSTE

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n. 1 - 26 gennaio 2018

Categoria 5 - APPROVAZIONE DEL VERBALE DI UN COLLEGIO IN DIVERSA COMPOSIZIONE

D. Di recente è cambiato il Direttore di Dipartimento, il Segretario e qualche professore (uno è andato in pensione, un'altra ha mutato afferenza). Gli assenti all'ultima seduta si rifiutano di approvare il verbale o dichiarano di astenersi. La procedura è corretta, possono farlo o altro?

R. Torneremo a breve su questo tema in un approfondimento specifico, in quanto la questione merita ulteriori rilievi. In sintesi, il verbale non è soggetto ad "approvazione", ma a "presa d'atto". Infatti, mentre la deliberazione è un atto collegiale, il verbale è un atto monocratico. In sostanza, non si approva, ma se ne prende atto, controllando la fedeltà della sintesi proposta dal segretario che lo sottoscrive in qualità di unico autore, mentre il presidente, a nome del collegio, lo controfirma per presa d'atto.
L'astensione in caso di assenza è uno dei comportamenti più classici, ma sbagliati. Il verbale, infatti, non è ascrivibile alla categoria degli atti collegiali (Consiglio di Stato, sez. V, 25 gennaio 2003, n. 344), ma è atto monocratico del pubblico ufficiale che, con le dovute garanzie legali, attesta la volontà collegiale e quanto accaduto come terza parte fidata. Quindi, anche gli assenti alla seduta precedente, ma che presenziano a quella in cui se ne prende atto, non devono astenersi (in quanto non sussiste una votazione), ma semplicemente un'azione ricognitiva di quanto accaduto nella seduta precedente come descritto nel verbale.
In alcuni Atenei ed Enti di ricerca si procede con "letto, approvato e sottoscritto seduta stante". Attenzione, che ciò avviene di norma nella totale inconsapevolezza di un eventuale falso ideologico. Si sottoscrive un verbale già prodotto e confezionato. La regola, invece, è l'asincronia tra seduta e verbale, venendo quest'ultimo redatto nei giorni seguenti alla seduta.
Nell'approfondimento, metteremo in luce i rischi concreti: mentre la deliberazione è impugnabile, il verbale è querelabile (tipicamente per falso). Si tratta di due profili profondamente differenti, che affronteremo in "puntodelibere". 

n. 2 - 2 febbraio 2018

Categoria 5 - RIFIUTO DI APPROVARE O DI SOTTOSCRIVERE IL VERBALE
D. Come dobbiamo comportarci quando qualcuno vota contro l'approvazione o si rifiuta di firmare il verbale?

R. Come affermato da numerosa e consolidata giurisprudenza, la non ascrivibilità del verbale alla categoria degli atti collegiali comporta, come conseguenza, che la sottoscrizione di tutti i componenti del collegio, della cui attività in esso venga dato atto, non può considerarsi elemento essenziale per la sua esistenza ed intrinseca validità, che possono essere incise solo dalla mancanza della sottoscrizione del pubblico ufficiale che svolge la funzione di redattore del verbale (Consiglio di Stato, sez. V, 25 gennaio 2003, n. 344).
Di conseguenza, come abbiamo visto nel Quesito 26 gennaio 2018, n. 1, l'azione amministrativa che compie il collegio è rappresentata dalla "presa d'atto", né il verbale, in quanto atto monocratico, è soggetto a una votazione collegiale. Decade, pertanto, l'ipotesi di un voto, tanto contrario quanto favorevole.
Il caso improbabile, ma non assurdo, in cui fosse il Segretario a rifiutarsi di sottoscrivere il verbale o, più gravemente, di  verbalizzare la seduta, configura il reato previsto dall'art. 328 cp, Rifiuto e omissione di atti d'ufficio.
Altre volte, invece, alcuni segretari verbalizzanti chiedono che le dichiarazioni da inserire nel verbale siano sottoscritte e sottoposte ad allegazione. In realtà, essendo il verbale un documento che attesta, con le dovute garanzie di legge, quanto nei fatti e negli atti accaduto, è redatto e sottoscritto dal pubblico ufficiale che assiste alla seduta. Pertanto, non deve essere sottoscritto o controfirmato anche delle persone che rendano dichiarazioni (Cassazione civile, sez. III, 6 ottobre 1999, n. 11134).  Nemmeno nel caso in cui quest'ultime siano considerate come allegati.
Ancora sugli allegati sono pervenuti altri quesiti, che tratteremo diffusamente nelle prossime settimane.
 

 n. 3 - 9 febbraio 2018

Categoria 2 - GLI ASSENTI GIUSTIFICATI E IL QUORUM STRUTTURALE

D. 
Vale ancora la norma sugli assenti giustificati? E in particolare quanti possono giustificare l'assenza e fino a che quota?

R. 
La norma di riferimento è contenuta nel RD 6 aprile 1924, n. 674, art. 18: «Per la validità delle adunanze del senato accademico, del consiglio di amministrazione, dei consigli di facoltà o scuola, del collegio generale dei professori, è necessario: 1º che tutti coloro che hanno qualità per intervenirvi siano stati convocati per iscritto tre giorni prima dell’adunanza, salvo il caso di urgenza, con l’indicazione degli oggetti da trattarsi; 2º che intervenga almeno la maggioranza di coloro che sono stati convocati, salvo il caso che, per determinati argomenti, sia diversamente disposto. Nel computo per determinare la maggioranza non si tien conto di quelli che abbiano giustificata la loro assenza. (omissis)».
Orbene, in base a una delle regole generali del funzionamento degli organi collegiali, le adunanze sono valide, se non diversamente disposto, qualora partecipi la maggioranza degli aventi diritto (metà più uno). Si tratta, invero, di un principio amministrativo e civilistico. Di conseguenza, non è possibile costituire regolarmente un collegio universitario qualora si giustifichi la metà più uno degli aventi diritto. Nel concreto, esiste il limite naturale del 49% dei potenziali assenti giustificati. Di contro saremmo di fronte a un paradosso della collegialità: potremmo forse ritenere valida un'adunanza in cui tutti giustifichino la propria assenza, tranne due?
Alcune università hanno limitato la giustificazione dell’assenza soltanto a un "legittimo impedimento" (ad es., Perugia) o a "motivi di salute, seri motivi di famiglia o inderogabili motivi d’ufficio" (ad es., Torino). Altre, invece, hanno ritenuto possibile giustificare l'assenza dei due terzi degli aventi diritto, lasciando che il restante terzo possa legittimamente deliberare.
In molti statuti, inoltre, le disposizioni del regio decreto sono state derogate per gli Organi collegiali centrali (ad es., Trieste). In altre parole, l'art. 18 del RD 674/1924 non è stato ritenuto applicabile al Senato accademico e al Consiglio di amministrazione, esattamente come rilevato dal MIUR a carico di molti Atenei in fase di controllo della nuova stagione statutaria a seguito dell'entrata in vigore della legge 240/2010. Viene, invece, mantenuto per gli organi delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio.
Gli atenei, spesso, hanno disciplinato in maniera autonoma la legittimità e il computo degli assenti giustificati, per cui è sempre opportuno leggere con attenzione e in combinato disposto lo Statuto, il Regolamento generale e, laddove presente, il Regolamento di funzionamento degli organi delle strutture didattiche, di ricerca e di servizio, al fine di comprendere l’effettivo ambito di applicazione.
Esemplare la pronuncia del TAR Lazio, sez. III, 6 giugno 2013, n. 5672, il quale, con riferimento all'art. 79 dello Statuto dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata, ha statuito che «il computo del quorum si effettua detraendo preventivamente dal numero dei componenti quello di quanti abbiano giustificato la propria assenza... e poiché secondo il ridetto articolo dello Statuto gli assenti giustificati non vengono computati, ai fini del raggiungimento del quorum costitutivo necessario ai fini della validità della seduta, in relazione al numero dei docenti intervenuti nella seduta del Consiglio in data 12 aprile 2006 il numero dei votanti (28) è superiore a quello degli assenti ingiustificati che è di 24, laddove gli assenti giustificati da togliere dal novero dei 30 assenti sono 6, con la conseguenza che il quorum va considerato corretto alla stregua della detta norma».
In conclusione, la disposizione sugli assenti giustificati vige ancora nell'ordinamento generale e in quello degli atenei, di norma per le strutture didattiche, di ricerca e di servizio.
A questo link (https://www.procedamus.it/images/puntodelibere/1924RD674.pdf) è possibile scaricare il RD 674/1924, il cui art. 18 si trova a p. 1884. Un tanto per rilevare la modernità del legislatore di allora, dal momento che il quarto comma tratta in maniera sintetica e nitida il conflitto di interesse. L'ultimo comma, invece, introduce l'obbligatorietà della tenuta dei verbali, oggetto poi della Circolare del 1939, che vedremo in seguito.
Infine, non dimentichiamoci che il quorum strutturale per i collegi dei Dipartimenti e delle Scuole è variabile in ragione delle materie trattate (se il tema riguarda i professori ordinari, non vi partecipano i ricercatori e i professori associati, oltre a studenti e al PTA). Ma di questo parleremo nelle prossime settimane.


n. 4 - 16 febbraio 2018

Categoria 0 - LA MOTIVAZIONE E LA PROPOSTA DI DELIBERA
D. Voglio restare anonima. Il mio Direttore mi dice che meno scrivo e meno motivo nelle delibere meglio è per tutti. È vero?

R. Un giorno, il Preside di una Facoltà convocò nel proprio studio un funzionario ancora agli inizi della carriera. «Legga questa delibera e mi dica se capisce qualcosa». Lesse attentamente. Poi la rilesse ancora.
Era un testo molto vago, nel più fulgido burocratese. Temendo di fare una brutta figura, disse «Molto elegante, ma veramente non ho capito molto, mi sembra un testo confuso, ma sarà a causa delle parole utilizzate e della lunghezza dei periodi». Il Preside sorrise e rispose: «Bene, molto bene, allora l'ho scritta proprio bene!».
Questa domanda introduce due tematiche molto importanti. La prima riguarda la chiarezza del linguaggio, l'altra la motivazione.
Sulla chiarezza del linguaggio, ci limitiamo a ricordare - ex multis - gli interventi di Sabino Cassese, Tullio De Mauro, Michele A. Cortelazzo e Alfredo Fioritto, nonché alcuni circolari esplicative del Dipartimento per la funzione pubblica. Oltre a rileggere Italo Calvino, possiamo riprendere tra le mani quest'agile lavoro (che riporta proprio Calvino).
In poche parole, la scarsa chiarezza, oltre a essere una disonestà intellettuale, rappresenta un costo sociale, perché genera contenzioso e sfiducia, considerando che è più facile parlare senza farsi capire anziché parlare in modo chiaro.
Sulla motivazione, invece, occorre spendere qualche parola in più. Nonostante ciò rappresenti una scarsa diligenza o comunque palesi una professionalità carente in capo a chi redige un provvedimento, difficilmente un giudice censurerà una deliberazione per una citazione normativa sbagliata o mancante, a meno che ciò non infici palesemente il costrutto logico-argomentativo. L'art. 3 della legge 241/1990 prevede che la motivazione (dal lat. movere/motus, cioè le ragioni che spingono ad adottare un provvedimento; nel linguaggio penalistico il movente) debba essere presente. Non solo. La motivazione deve essere congrua e intelliggibile. Numerosa e qualificata giurisprudenza, infatti, ha più volte ribadito la diretta proporzionalità della motivazione. Quanto più un provvedimento è complesso e articolato, tanto più la motivazione dovrà essere articolata ed esaustiva, direttamente proporzionale alla complessità. È dunque necessario dar conto non solo agli organi vigilanti, ma alla collettività pubblica, delle ragioni che hanno portato a una decisione determinata. E, necessariamente, le ragioni passano per le circostanze di fatto che in un frangente determinato sono accadute. Dopo le premesse di fatto e di diritto, dopo gli accertamenti tecnici, se presenti, deve dunque trovare un posto più che dignitoso la motivazione. Essa è, di norma, introdotta dal "Considerato opportuno", cioè dall'esplicitazione delle ragioni che inducono a scegliere - tra più soluzioni possibili - proprio quella adottata nel provvedimento amministrativo.
Al di là della forma, la parte dispositiva (il vero “deliberato”), cioè tutto ciò che, testualmente, viene scritto dopo il “delibera” (verbo che identifica il nomen juris del provvedimento), a volte risulta confusa tra la premessa e le formule finali, innescando un’incertezza dell’azione amministrativa. Ciò finisce con il non riconoscere alla deliberazione un’autonomia vera e propria di atto amministrativo, distinta dal verbale della seduta.
Alla luce di quanto disposto dall'art. 3 della legge 241/1990, la mancanza della motivazione integra il vizio della violazione di legge, perché manca uno degli elementi richiesti dalla norma. Ciò può far scaturire l’impugnazione per ottenere l'annullamento dell'atto. Di contro, qualora la motivazione fosse presente, ma carente, cioè non sufficientemente chiara e argomentata, l’atto potrà essere ugualmente impugnato per ottenerne l’annullamento, ma per un motivo differente. Non per violazione di legge (la motivazione esiste), ma per “eccesso di potere”. Quest'ultimo può manifestarsi sotto svariate forme, definite “figure sintomatiche”. Tali forme devono essere dichiarate in sede di impugnazione dell’atto in un giudizio amministrativo. Si avrà, dunque, un atto viziato da eccesso di potere per la “motivazione insufficiente, illogica, contraddittoria o irragionevole”.
Pienamente ammissibile risulta, invece, la cd. motivazione per relationem. Essa trova la fonte normativa nell'art. 3, comma 3, sempre della legge 241/1990 («se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa»). Per approfondire i rapporti tra la corretta tenuta del fascicolo procedimentale e la motivazione per relationem, è possibile leggere il saggio Due osservazioni sul fascicolo archivistico, da p. 110 in poi.
A proposito dell'obbligo di motivazione, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 310/2010, così ha statuito: «L'obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi (...) è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell'azione amministrativa. Esso è radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione e, dall'altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale». Quest'ultimo passaggio della sentenza risulta fondamentale per comprendere quanto sia necessario prestare la massima attenzione alla motivazione nella predisposizione di una deliberazione, come di qualsiasi altro provvedimento.
Non esiste, tuttavia, un "metro" adatto a misurarne la lunghezza o l'adeguatezza: scrivere tanto può non essere necessario o sufficiente, scrivere poco talvolta serve per essere chiari nella sintesi. L’importante è far capire, in un italiano semplice - grammaticalmente e ortograficamente corretto - quali sono le basi argomentative (si chiama iter logico-giuridico) utilizzate per arrivare a una decisione determinata.
In conclusione, la motivazione - chiara ed esaustiva - è il primo baluardo a difesa della trasparenza amministrativa. Di contro, avremmo l'opacità assunta all'ennesima potenza. Meglio, dunque, essere esaustivi e chiari, dire tutto; non una parola di più, non una parola di meno. 


n. 5 - 23 febbraio 2018

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