puntodelibere - Quesiti e risposte n. 4

QUESITI E RISPOSTE

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n. 4 - 16 febbraio 2018

Categoria 0 - LA MOTIVAZIONE E LA PROPOSTA DI DELIBERAZIONE
D. Voglio restare anonima. Il mio Direttore mi dice che meno scrivo e meno motivo nelle delibere meglio è per tutti. È vero?

R. Un giorno, il Preside di una Facoltà convocò nel proprio studio un funzionario ancora agli inizi della carriera. «Legga questa delibera e mi dica se capisce qualcosa». Lesse attentamente. Poi la rilesse ancora.
Era un testo molto vago, nel più fulgido burocratese. Temendo di fare una brutta figura, disse «Molto elegante, ma veramente non ho capito molto, mi sembra un testo confuso, ma sarà a causa delle parole utilizzate e della lunghezza dei periodi». Il Preside sorrise e rispose: «Bene, molto bene, allora l'ho scritta proprio bene!».
Questa domanda introduce due tematiche molto importanti. La prima riguarda la chiarezza del linguaggio, l'altra la motivazione.
Sulla chiarezza del linguaggio, ci limitiamo a ricordare - ex multis - gli interventi di Sabino Cassese, Tullio De Mauro, Michele A. Cortelazzo e Alfredo Fioritto, nonché alcuni circolari esplicative del Dipartimento per la funzione pubblica. Oltre a rileggere Italo Calvino, possiamo riprendere tra le mani quest'agile lavoro (che riporta proprio Calvino).
In poche parole, la scarsa chiarezza, oltre a essere una disonestà intellettuale, rappresenta un costo sociale, perché genera contenzioso e sfiducia, considerando che è più facile parlare senza farsi capire anziché parlare in modo chiaro.
Sulla motivazione, invece, occorre spendere qualche parola in più. Nonostante ciò rappresenti una scarsa diligenza o comunque palesi una professionalità carente in capo a chi redige un provvedimento, difficilmente un giudice censurerà una deliberazione per una citazione normativa sbagliata o mancante, a meno che ciò non infici palesemente il costrutto logico-argomentativo. L'art. 3 della legge 241/1990 prevede che la motivazione (dal lat. movere/motus, cioè le ragioni che spingono ad adottare un provvedimento; nel linguaggio penalistico il movente) debba essere presente. Non solo. La motivazione deve essere congrua e intelliggibile. Numerosa e qualificata giurisprudenza, infatti, ha più volte ribadito la diretta proporzionalità della motivazione. Quanto più un provvedimento è complesso e articolato, tanto più la motivazione dovrà essere articolata ed esaustiva, direttamente proporzionale alla complessità. È dunque necessario dar conto non solo agli organi vigilanti, ma alla collettività pubblica, delle ragioni che hanno portato a una decisione determinata. E, necessariamente, le ragioni passano per le circostanze di fatto che in un frangente determinato sono accadute. Dopo le premesse di fatto e di diritto, dopo gli accertamenti tecnici, se presenti, deve dunque trovare un posto più che dignitoso la motivazione. Essa è, di norma, introdotta dal "Considerato opportuno", cioè dall'esplicitazione delle ragioni che inducono a scegliere - tra più soluzioni possibili - proprio quella adottata nel provvedimento amministrativo.
Al di là della forma, la parte dispositiva (il vero “deliberato”), cioè tutto ciò che, testualmente, viene scritto dopo il “delibera” (verbo che identifica il nomen juris del provvedimento), a volte risulta confusa tra la premessa e le formule finali, innescando un’incertezza dell’azione amministrativa. Ciò finisce con il non riconoscere alla deliberazione un’autonomia vera e propria di atto amministrativo, distinta dal verbale della seduta.
Alla luce di quanto disposto dall'art. 3 della legge 241/1990, la mancanza della motivazione integra il vizio della violazione di legge, perché manca uno degli elementi richiesti dalla norma. Ciò può far scaturire l’impugnazione per ottenere l'annullamento dell'atto. Di contro, qualora la motivazione fosse presente, ma carente, cioè non sufficientemente chiara e argomentata, l’atto potrà essere ugualmente impugnato per ottenerne l’annullamento, ma per un motivo differente. Non per violazione di legge (la motivazione esiste), ma per “eccesso di potere”. Quest'ultimo può manifestarsi sotto svariate forme, definite “figure sintomatiche”. Tali forme devono essere dichiarate in sede di impugnazione dell’atto in un giudizio amministrativo. Si avrà, dunque, un atto viziato da eccesso di potere per la “motivazione insufficiente, illogica, contraddittoria o irragionevole”.
Pienamente ammissibile risulta, invece, la cd. motivazione per relationem. Essa trova la fonte normativa nell'art. 3, comma 3, sempre della legge 241/1990 («se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa»). Per approfondire i rapporti tra la corretta tenuta del fascicolo procedimentale e la motivazione per relationem, è possibile leggere il saggio Due osservazioni sul fascicolo archivistico, da p. 110 in poi.
A proposito dell'obbligo di motivazione, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 310/2010, così ha statuito: «L'obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi (...) è diretto a realizzare la conoscibilità, e quindi la trasparenza, dell'azione amministrativa. Esso è radicato negli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, da un lato, costituisce corollario dei principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione e, dall'altro, consente al destinatario del provvedimento, che ritenga lesa una propria situazione giuridica, di far valere la relativa tutela giurisdizionale». Quest'ultimo passaggio della sentenza risulta fondamentale per comprendere quanto sia necessario prestare la massima attenzione alla motivazione nella predisposizione di una deliberazione, come di qualsiasi altro provvedimento.
Non esiste, tuttavia, un "metro" adatto a misurarne la lunghezza o l'adeguatezza: scrivere tanto può non essere necessario o sufficiente, scrivere poco talvolta serve per essere chiari nella sintesi. L’importante è far capire, in un italiano semplice - grammaticalmente e ortograficamente corretto - quali sono le basi argomentative (si chiama iter logico-giuridico) utilizzate per arrivare a una decisione determinata.
In conclusione, la motivazione - chiara ed esaustiva - è il primo baluardo a difesa della trasparenza amministrativa. Di contro, avremmo l'opacità assunta all'ennesima potenza. Meglio, dunque, essere esaustivi e chiari, dire tutto; non una parola di più, non una parola di meno.